La panchina di Porta Bormina: un frammento di storia che parla sottovoce
Libera coppia in volo porta
In becco il cibo di vita.
Occhi attenti e bocche aperte gioiscono.
Magico tappeto scende e morbido si appoggia al tuo rigido corpo gettato in squadra.
Piano e adagio un rosso cremisi dialoga col blu notte di luna piena chiara.
Un’iris vitale caldo e sensuale appare,
si posa e la forma rigida scompare.
Incanto e bellezza si agitano in due o tre
interagiscono e la creazione inizia.
Una nuova forma si anima e l’idea si materializza in andamenti sciolti di pennellate scritte a parole dense di colori da sinistra a destra tra la notte e il giorno.
Scrivo.
Distinte e diverse si accostano scandiscono l’amore dove il colore alimenta
l’anima che si nutre e nel fuoco cresce e rinasce.
Michele Falciani
La panchina di Porta Bormina venne realizzata in cemento da un contradaiolo, il signor Quarti, che negli anni si dedicava a piccoli lavori manuali per la contrada. Era una panchina semplicissima, gettata direttamente sul posto, appena fuori Porta Bormina lungo la strada dei campi. Con il tempo è divenuta la “panchina dei Caduti di Russia”, memoria spontanea e popolare più che monumentale.
A un centinaio di metri, lo stesso Quarti aveva costruito anche una piccola santella in stile naif, dedicata ai soldati della campagna di Russia: un segno povero ma profondamente radicato nel senso comunitario della contrada. Oggi l’uomo è infermo, ma ciò che ha lasciato racconta da sé quanto tenesse al luogo in cui viveva.
La panchina guarda il sole fin dal mattino; nel pomeriggio, invece, è avvolta dall’ombra. Mia figlia vive in un loft adiacente: la panchina è diventata quasi una presenza quotidiana, parte della vita stessa della contrada.
Tutto si trova poco prima dell’arco di Porta Bormina, inserito nelle mura fatte erigere da Ludovico il Moro alla fine del Quattrocento per proteggere Tirano dalle incursioni dei Grigioni e dall’interesse dei Veneziani per i traffici commerciali e i dazi della Valtellina. Sulla sinistra, prima di entrare in porta, si trova la casa Falciani Rossetti (già casa Manfredotto, notaio), citata nel primo catasto urbano del 1512, redatto sotto il dominio grigione dopo la caduta del Moro. Un pannello raffigura l’angelo custode della porta, antico simbolo di protezione.